Banda larga, in Italia c’è ancora un gap da colmare –

Accelerare lo sviluppo della banda larga: è da quasi un decennio che questo è l’obiettivo delle politiche comunitarie e nazionali sul fronte delle telecomunicazioni, ma ancora oggi in Italia le cose non stanno andando per il verso giusto, anche a causa della lentezza del passato. Risultato? Il Belpaese va ancora troppo a rilento sul fronte del digitale, al punto di essere in quartultima posizione in Europa nella classifica del Digital Economy and Society Index 2017.

Zona retrocessione. Anche quest’anno, infatti, l’Italia ha fallito la “prova digitale”: negli ultimi dodici mesi sono stati compiuti pochi progressi su questo versante e nella graduatoria annuale che fotografa la digitalizzazione nei 28 Stati dell’Unione europea siamo ancora una volta sul gradino numero 25, in piena zona “retrocessione”, meglio solo di Grecia, Bulgaria e Romania.

Arrivano i privati. Qualcosa però si sta muovendo, grazie in particolare alle nuove strategie messe in campo dagli operatori privati: da un lato c’è la sfida tra Telecom e Open Fiber, che puntano a cablare le città italiane, e dall’altro la diffusione di brand “alternativi” come Eolo, che offrono Adsl veloce a prezzi convenienti in gran parte del territorio nazionale (per scoprire se il proprio Comune è interessato da questo servizio basta consultare la pagina di verifica coperture Adsl presente sul sito aziendale).

Cittadini poco coinvolti? Ora non resta che convincere i cittadini tricolore, che appaiono restii agli abbonamenti alla rete ultraveloce. Sul fronte della connettività, infatti, l’Italia è migliorata, e lo stesso indice Desi segnala che il Belpaese “ha compiuto progressi significativi grazie soprattutto al forte aumento della copertura delle reti Nga“, vale a dire quelle in fibra ottica con una velocità di almeno 30 Mbps. Oggi, questa infrastruttura ha raggiunto il 55% di copertura (era al 53% nel 2015), ma non c’è stato un ritmo simile per quanto riguarda gli abbonamenti ai servizi da 30 Mbps o superiori: nel 2015 il dato era al 5%, mentre a fine anno scorso è arrivata al 12%, con una media europea che invece viaggia già verso il 40%.

Le mosse dei Governi. E dire che, per una volta, le politiche e gli interventi per garantire l’installazione e l’accesso alla banda larga non sono mancati: sin dal 2007 era stato attivato un Comitato interministeriale per la banda larga, che in sette anni ha speso 1,1 miliardi di euro che hanno consentito l’installazione di 11 mila chilometri di fibra ottica nelle città italiane. Con il Governo Renzi poi si punta alla rete con velocità di 30 e 100 megabit, con 3 miliardi di euro destinati a finanziare i progetti gestiti dalla società pubblica Infratel nelle are a fallimento di mercato, mentre altri 5 miliardi arrivano dai privati.

Pochi accessi al Web. Insomma, la strada è stata segnata dai vari Governi, mentre sembra esser mancata l’attenzione da parte dei cittadini: secondo l’Istat, c’è addirittura una quota vicina al 35% di italiani che non utilizzano Internet regolarmente. Eppure, la copertura di banda larga di base è adeguata e ha raggiunto praticamente il 100% della popolazione, ma mancano gli accessi.

Un nuovo fronte imprenditoriale. Eppure, se da un lato non sappiamo ancora quando (e se) l’Italia potrà vantare una connessione Internet davvero veloce, dall’altro però se ne intuiscono già i benefici: è stata ancora l’Istat a fare le previsioni sui guadagni che le piccole imprese potrebbero ottenere dalla installazione della banda ultralarga, in un documento intitolato “Valutazione della relazione tra l’uso di Ict da parte delle microimprese, copertura a banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato e performance aziendale”, che prende in esame e analizza 250mila imprese fra 3 e 9 addetti.

Aumento della produttività. Da questo documento si scopre che in tutti i domini considerati ci sarebbe “un aumento di produttività variabile dal 7% fino al 23% del valore aggiunto delle aree bianche/bianche dirette calcolato in assenza di investimenti e pari al 13% per il complesso di tutte le aree bianche italiane considerate”, ovvero in quelle considerate a fallimento “imprenditoriale”. Posto in cifre, significa che la produttività potrebbe aumentare di circa 4.900 euro per addetto.