Tornando indietro agli anni ’90, se avessimo potuto puntare i nostri risparmi su quello che sarebbe stato il futuro del gaming, la risposta sarebbe stata una e una sola: la realtà virtuale.
Ora forse ci siamo arrivati, con qualche anno di ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma finalmente si iniziano a intravederei primi risultati in direzione di questa futuristica tecnologia. Immaginate di poter vivere comodamente seduti sul vostro divano le emozioni di una vacanza all’altro capo del mondo. Troppo banale? Meglio invece far saltare teste di non morti in prima persona cercando di sopravvivere all’apocalisse Zombie di Dying Light? Se la risposta giusta è questa, allora non potete non gioire all’annuncio di HTC VIVE:
Sfruttando l’annuncio della recente partnership fra il colosso dell’industria videoludica Valve e la taiwanese HTC per il lancio del nuovissimo visore a realtà virtuale HTC VIVE, vediamo un po’ come si è evoluta la storia di questa particolarissima tecnologia e quali sono le prospettive che ci attendono in futuro.
Virtual Boy, la realtà virtuale d’altri tempi
Conclusasi la cavalcata al 3D stereoscopico che ha contraddistinto l’industria dei videogames da un paio d’anni a questa parte, l’idea dietro ai sensori di realtà virtuale applicata al mondo videoludico si perde nella notte dei tempi. Ci aveva pensato addirittura Nintendo nel 1995 con il su Virtual Boy.
Scomodo, monocromatico, privo di giochi di spessore e dal mal di testa assicurato, il Virtual Boy si affacciava sul mercato in tempi ancora acerbi per un’idea del genere, nonostante fosse pure tremendamente buona: proiettare per ogni occhio un’immagine apposita attraverso un particolare sistema di specchi oscillanti. Un’idea più vicina al 3D stereoscopico come lo intendiamo oggi che non alla realtà virtuale in senso stretto, eppure l’idea alla base era appunto quella di “avvolgere” il giocatore e farlo sentire all’interno del gioco stesso. Purtroppo a causa dell’eccessivo lavoro richiesto alla macchina per funzionare, l’unico colore che essa riusciva a proiettare era il rosso su sfondo nero. Non proprio il massimo per una generazione di giocatori provenienti da un’epoca, quella dei 16 bit, che ha regalato al mondo perle di stile come Yoshi’s Island e Donkey Kong Country. Aggiungiamo pure il fatto che la console venisse promossa come “portatile” ed è facile capire il perché dell’insuccesso del Virtual Boy e tutto ciò che era tipico della realtà virtuale.
Oculus Rift e il rilancio realtà virtuale
Ci sono voluti ben 20 anni e 16 milioni di dollari affinché l’idea originale del Virtual Boy potesse prendere una forma concreta e tornare a far parlare di se. Quella forma oggi è Oculus Rift. Nato quasi per scherzo su kickstarter, la fabbrica dove i sogni si avverano, Oculus Rift è, se non il primo, il più famoso sensore per la realtà virtuale che sarà disponibile a breve entro l’anno.
Dotato di uno schermo OLED da 7 pollici in grado riprodurre immagini in Full HD, un accelerometro, un magnetometro e un giroscopio a 3 assi, Oculus Rift si presenta sulla carta come il sistema per la realtà virtuale più all’avanguardia fra tutta la concorrenza. Ma ciò che più di ogni altra cosa colpisce anche i profani della tecnologia è il vastissimo angolo di visuale che lo contraddistingue: parliamo infatti di oltre 100°, tali da permettere un’esperienza di gioco totale e non solo limitata a quanto dinnanzi. Questo grazie anche ai 20 sensori a infrarossi posizionati all’interno del visore, sensori che uniti all’accelerometro e il giroscopio di cui sopra permettono a Oculus di simulare un ambiente 3D a 360° per il massimo dell’immersione.
Attualmente la data di lancio e il prezzo finale di tale gioiello di tecnologia non sono ancora noti, tuttavia prime stime vogliono Oculus Rift disponibile al pubblico entro il 2015 per un prezzo compreso fra i 300 e i 400 dollari. Rimane solo da chiarire come Facebook decida di sfruttare tale prodigio per tormentarci di pubblicità e annunci anche mentre stiamo giocando…
E la concorrenza? La realtà virtuale di Microsoft e Sony
E mentre il web impazza per Oculus Rift e la realtà virtuale, Sony e Microsoft non perdono l’occasione e decidono di salire anche loro in carrozza e tentare il colpo grosso, rispettivamente, con Project Morpheus e Hololens.
Fra i due contendenti, quello di casa SONY pare essere l’ennesimo visore per la realtà virtuale come tanti altri ne hanno presentati in questi tempi. Rispetto a Oculus salta all’occhio la minore capienza dello schermo (solo 5 pollici) e dell’ampiezza di campo (90°), ma la sola idea di poter giocare alle maggiori esclusive Playstation con questo visore è più che sufficiente a riportare l’ago della bilancia a pendere in favore del progetto SONY. Qualche dubbio permane, soprattutto sull’effettiva prestanza della console nell’atto di dover elaborare due volte la stessa immagine(una per occhio), ma per questo dovremo pazientare ancora un po’ e probabilmente aspettare l’E3 di Los Angeles.
Di ben altra caratura è il progetto di realtà aumentata di Microsoft. Superando il concetto che un visore per la realtà virtuale debba portare le immagini nella nostra testa, Hololens mira ad esportarle, ad aumentare la realtà che ci circonda. Diversamente dai più famosi Google Glasses che si limitano semplicemente a visualizzare sulle lenti le varie finestre e informazioni di cui abbiamo bisogno, Hololens si basa su una tecnologia in grado di proiettare letteralmente i dei veri e propri ologrammi con cui poter interagire al tocco, una tecnologia che se adeguatamente sfruttata potrebbe essere in grado di creare un nuovo modo di intendere non solo i videogiochi ma anche la tecnologia in se.
Tanti si sono già lasciati ammaliare dalle promesse di innovazione che i visori per la realtà virtuale si portano dietro, ora rimane solo da verificare se la parola data verrà mantenuta o ci troveremo davanti all’ennesimo fuoco di paglia come furono a suo tempo gli occhialini 3D o i sensori di movimento. D’altronde come ha dimostrato il successo/insuccesso del Wii, è facile sedurre il vasto pubblico sul breve periodo come è altrettanto difficile riuscire a incanalarlo affinché esso diventi una fonte di sostentamento adeguato per il mercato. Per ora comunque vogliamo crederci.